Giovanni Monteforte AFROLOGIC JAZZ STUDIO

Perché "Afrologic"? Perché il jazz è una musica occidentale che ha fatto proprie logiche, strategie e parametri estetici tipicamente africani.

"Monopolismo economico e postmodernismo" (2015 riveduto e corretto per ADGPA)

Di Giovanni Monteforte

L'evento-jazz va inquadrato in una prospettiva storica ed estetica che, tenendo conto delle categorie del moderno e del postmoderno, contribuisca a chiarire le attuali problematiche concernenti questo genere musicale. Il postmodernismo non è altro che l’ideologia del capitalismo nella fase della globalizzazione e della finanziarizzazione. Mentre i monopoli finanziari espandono il loro dominio sulle sovranità statali, le istituzioni democratiche e gli organi di autogoverno, il "pensiero debole" decostruisce le identità culturali e sociali, i costumi nazionali e la coscienza delle masse centrifugandoli nel calderone del "pensiero unico" globale. L’arte, come fattore sensibilizzante in grado di allargare l’area della consapevolezza individuale e collettiva deve essere neutralizzata, una sola estetica deve prevalere: l’ "estetica della insignificanza"! La comunità del jazz italiano è una comunità che per quanto coesa su una delle forme d'arte più significative del 900', il Jazz, si è mantenuta tuttavia separata ed avulsa dal dibattito culturale sull'arte e sull'estetica che si è svolto negli altri campi artistici: dal provincialismo premoderno si e passati direttamente al relativismo postmoderno saltando a piè pari la modernità. Dagli argomenti dei discorsi ai criteri di giudizio adottati tutto sta a testimoniare un piano di realtà limitato e superficiale rispetto a quello del pensiero critico e dialettico. Questo discorso è sviluppato secondo un particolare angolo di visuale, quella nuova-sensibilità maturata nell'incomparabile periodo storico degli ‘anni sessanta', un periodo in cui l'onda lunga della modernità non si era per il jazz ancora esaurita. Discorso che non rinuncia a leggere il Jazz non solo come fase evolutiva della musica occidentale, ma innanzitutto come una "scoperta", il venire alla luce di una nuova facoltà espressiva da sempre sopita. Una "scoperta" rivoluzionaria essenziale per quel nuovo umanesimo modernista oggi prevaricato e de-costruito dall'invasione tecnocratica della più decadente insignificanza post-moderna. Decadenza che riflette la crisi di progettualità di un sistema di dominazione arroccato su ormai estremi meccanismi di auto-difesa. Meccanismi tra i quali in campo artistico spicca il revisionismo-storico il quale, penetrando tutti i campi della cultura, non è giustificabile che non debba essere riconosciuto quanto esso stia investendo anche il Jazz. A monte dei processi culturali ed artistici si trovano sempre condizionamenti, più o meno pesanti, economici e politici. Il grande monopolio del "Supermercato della Musica" che gestisce i sedicenti 'Festivals del Jazz' imponendo le politiche culturali globalizzate, è sostenuto e controllato prevalentemente da gruppi di interesse, pubblici (assessorati, ecc.) e privati (associazioni culturali, banche, fondazioni, ecc.) riconducibili alla politica, spesso di sinistra. Sinistra che, nella misura in cui disattende gli ideali garantisti e democratici dell’illuminismo (Modernismo) degenera nel post-modernismo della cultura e dell’arte, nel "pensiero debole" filosofico (ideologia del tardo-capitalismo), nel verticismo autoritario, repressivo e coercitivo, così come in quel burocratismo fiscale, sanzionatorio e antipopolare che cosi negativamente si riperquote sul mercato del lavoro del jazz indipendente dai centri di potere dominanti,

"...la complessa e delicata macchina internazionale dei concerti è controllata da gruppi molto esigui che sono inseriti nei sistemi di dominazione" [Luciano Cavalli "La democrazia manipolata" Ed. Comunità - Mi-65 - pag. 92].

 

Per dirla con Lenin, nella attuale fase storica:

"...la base più profonda dell'imperialismo è il monopolio, originato dal capitalismo e trovantesi, nell'ambiente generale del capitalismo, della produzione mercantile, della concorrenza, in perpetuo ed insolubile antagonismo con l'ambiente medesimo."

E di questo "ambiente del capitalismo" la spontanea potenzialità economica del jazz è parte integrante. Nel settore della cultura, la realtà sommersa del jazz italiano non ufficialmente riconosciuto e non omologato diffusa tra i giovani e sul territorio, viene soffocata tra l'industria della musica (monopolio privato) ed uno Stato ("leggero") che abbandona alla deriva realtà che sono molto interessanti ed essenziali per lo sviluppo di arti e mestieri e per il pluralismo culturale del paese. Lo Stato può somministrare le sue funzioni sia ingerendo pesantemente nel mercato che abbandonandolo a sé stesso. Lo Stato "Moderno" oggi agisce solo pretestuosamente in nome della società civile ma, essenzialmente, esso è lo strumento degli oligopoli e monopoli privati. Mentre le scuole di musica alternative ai conservatori sono prive di riconoscimento e adeguato sostegno, i docenti sono sottopagati e sostanzialmente precari e gli studenti futuri disoccupati, alla maggioranza di onesti musicisti, militanti della cultura e dell'arte coerentemente non allineati con l'industria della musica di largo consumo né con la musica classica sovvenzionata, non è garantita neanche la dignità della sopravvivenza. Sino ad oggi la legislazione vigente, invece di stimolare un basilare e diffuso mercato del lavoro della musica dal vivo ad appuntamento fisso [N.B. da non confondersi col mercato delle attività concertistiche di rilievo nazionale alle quali solo un èlite lottizzata di musicisti accede sistematicamente, cioè festival e rassegne che altro non sono che i sopra-citati grandi supermercati monopolistici della musica!], si rivela vessatoria nei confronti delle varie componenti dell'economia reale della musica spontaneamente espresse dalla società. Realtà come quei locali pubblici (Pubs, Birrerie, Ristoranti, ecc.) che pur ritagliando una parte delle loro risorse per attività culturali si vedono negare ogni agevolazione, e nei cui confronti le vigenti normative sindacali risultano astratte e controproducenti. Locali la cui attività principale è la ristorazione e non la musica, e che, pertanto, dovrebbero sottostare ad un differente trattamento fiscale finalizzato ad incentivare le loro attività collaterali a favore della cultura e dell'arte.

Giovanni Monteforte

 

 

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