Questo libro on line è pubblicato

con l'autorizzazione dell'autore Giovanni Monteforte

 

FILOSOFIA DEL JAZZ

"Il jazz come metafora epistemologica" (2015 riveduto e corretto per ADGPA)

Essendo chi scrive non un filosofo, ma un jazzista-critico e un libero-pensatore, è con l‘intento dello studente alle prese con una ricerca che è stato compilato questo articolo. Tutto quello che potrebbe risultare utile alle tesi da me sostenute è stato qui utilizzato anche ricorrendo alle citazioni. Perché un uso così circostanziato delle citazioni? Per testimoniare con fonti alternative e autorevoli quanto generico e superficiale sia il discorso della pubblicistica corrente sul jazz. Il carattere-corsivo invece vuole inoltre rimandare a ben precise categorie filosofiche. Come abbiamo visto, etimologicamente il termine estetica significa percezione, dal greco aìsthesis e con esso, specificamente, si intende la filosofia dell’arte [dottrina della conoscenza sensibile]. Arte che comprende la pittura, la scultura, l’architettura, il cinema, la letteratura, la poesia, il teatro, la musica, (ecc.). Filosofia della musica che comprende quindi l’estetica musicale .

- Alcune premesse sono a questo punto necessarie: ad esempio, se Cinema e Musica sono materie artistiche autonome, allora il Western è un genere del cinema così come il Jazz è un genere della musica. Se poi a sua volta il "western all’Italiana" è uno stile del genere Western, allora il Be-Bop è uno stile del genere Jazz. La materia-cinematografica sta quindi alla materia-musicale, come il genere-western sta al genere-jazz e come lo stile western-all’ italiana sta allo stile be-bop. Il sottolineare "alterità" o diversità tra i generi non significa svalutare un genere a favore di un altro ma, al contrario, valorizzare ogni genere in base alla ricchezza delle sue preziose peculiarità, presupposto del pluralismo e della reciproca coesistenza. Non si intende quindi delegittimare neanche quei generi nazional-popolari che, oltre a svolgere una funzione sociale di svago e intrattenimento, non di rado rivelano significative qualità artistiche. Ogni genere musicale, costituisce un processo in cui coesistono varie opposizioni o contraddizioni, le quali presentano sempre un elemento di connessione e di unità (unità degli opposti). Ne consegue che se non si focalizza questo elemento, risulta impossibile percepire la diversità tra i generi. Il genere Jazz costituisce un vero e proprio sistema, cioè un tutto in cui le parti si lasciano derivare l’una dall’altra, un tutto organizzato finalisticamente e "non ammucchiato" (Kant); "...si svolge in sé e si raccoglie e si mantiene in unità..." (Hegel) (Diz. Fil. Abbagnano). Alcune correnti di pensiero relativistiche vogliono ridurre unilateralmente il concetto di sistema alla sua accezione più negativa di dogma e totalitarismo, dimostrando con ciò di essere totalitari essi stessi, come se nella realtà i sistemi, intesi come "quantità", cioè organismi in evoluzione e quindi non dogmatici, non esistessero! Con aggregato al contrario si può indicare il raggruppamento arbitrario, una "ammucchiata" (Kant), di oggetti tra loro inconciliabili o sconnessi, il contrario di sistema organico. Con stile si intende l’insieme di proprietà o caratteri che distinguono un genere dall’altro: "il particolarizzarsi del genere" (Benedetto Croce: traduzione commentata della "Enciclopedia delle Scienze Filosofiche" di Hegel, Laterza p. 629 ed. 2002) o anche "ciò che è situato sotto il genere" (Porfirio). E’ quindi appropriato parlare di "stile di genere", stile-jazz. Gli stili del jazz sono consustanziali tra loro e con il genere al quale appartengono, e con ciò si intende che gli stili del jazz hanno in comune tra loro, e con il genere al quale appartengono, proprietà essenziali e differiscono tra loro per proprietà non-essenziali; ad esempio Dixieland e Free sono diversi per differenze non-essenziali e uguali per qualità essenziali: come avviene per tutti gli stili del jazz si tratta di differenti fasi evolutive dello stesso contenuto-semantico culturale, basti pensare alle desublimate e caotiche improvvisazioni collettive di entrambi gli stili ! Non a caso l’Art-Ensemble of Chicago fonde in un unica esecuzione caratteri Dixie e Free così come James Carter si esprime dando luogo, in una stessa interpretazione alla fusione di differenti stili del jazz, che è cosa diversa dalla "fusione" di generi musicali tra loro per nulla o scarsamente compatibili. Ad esempio in Psicoterapia oggi vi è la tendenza a praticare sinergicamente differenti metodi terapeutici, coloro che interpretano ciò come conferma della validità sempre e comunque della commistione tra generi, dimenticano che in questo caso non sono differenti generi ad essere mischiati ma differenti modalità di uno stesso genere: la psicoterapia, branca della materia medica. (...sarebbe un pò acrobatico se per curare una depressione si ricorresse al dentista ! ) e dimenticano pure che la musica è Materia e non Genere. Che poi dalla integrazione tra differenti branche della medicina ne possano derivare delle nuove, cosi come dalla fusione di differenti generi musicali possano derivare nuovi generi, fa parte del regno della possibilità e non della necessità, e inoltre esula dal nostro discorso centrato monograficamente sul jazz e non sulla musica in generale.

- Con "poetica" si intende non tanto lo stile di un genere, quanto il peculiare stile personale del singolo artista; da non confondere con "poietica" è invece la strategia di produzione artistica. Classica e Jazz sono diversi per differenze essenziali le quali, nonostante occasionali affinità non-essenziali, li rendono esteticamente incompatibili. Keith Jarret, che ne ha fatto l’esperienza, ha poi dichiarato: " Mischiare classica e jazz sarebbe letale per il Jazz!"

- Con il concetto di identità in Arte si intende la più intima e preziosa spiritualità contenuta nell’opera artistica. Coerenza spirituale incompatibile con elementi estranei e perturbanti. Ciò è particolarmente vero riguardo al jazz. Solo per fare due esempi basti pensare al pianista Bill Evans o al sassofonista Lee Konitz. Non tutti riescono a cogliere questa spiritualità, e ciò rende il jazz vulnerabile ed esposto alla volgarità degli stolti e dei mercanti. Con identità si rimanda anche all’identità di materia e forma, per esempio: Domanda: "che materia hai a scuola stamattina?" Risposta: "Inglese" . [Inglese è materia o...forma? Inglese è forma, Lingua è materia. La risposta avrebbe dovuto essere: " - Che materia hai a scuola stamattina? – Lingua! ", "- E che genere di materia hai? - Inglese!" ] Nel nostro esempio: con "Inglese" si sottintende quindi "Lingua inglese", il soggetto di cui si parla nella proposizione interrogativa, cioè la materia Lingue, viene implicitamente incluso nel predicato (Inglese), attuandosi così l’unità di materia e forma anche nel senso comune!]. Il concetto di identità può stare ad indicare sia una relazione unitaria tra soggetto e predicato, tra materia e forma, tra universale e particolare, che gli "indiscernibili", l’indistinguibilità (si rimanda al Dal Pra: Storia della filosofia - Enrico Bergson).

- Sui concetti di eclettismo e sincretismo vale invece la pena soffermarsi un po’ di più. Essi sono considerati, pur con differenti accentazioni, sinonimi (G. Reale:" Storia della Filosofia Antica" Vol. V.). In arte le categorie dell’incompiuto e dell’imperfetto non sono di per sé un disvalore, possono anzi rivelarsi in certi casi un valore aggiunto ! "Per realizzare l’ambiguità come valore gli artisti contemporanei fanno spesso ricorso all’informale, al disordine, al caso, all’indeterminatezza dei risultati" (Umberto eco "L’ouvre ouverte" Paris 1965; ed. Seuil; p.66). Senza voler identificare o confondere le opere aperte descritte da Eco con le opere sincretiche o eclettiche, ciò non toglie che aggettivi come informale, disordinato, casuale, indeterminato ben si prestino a descrivere anche queste ultime e che pure esse intendano realizzare l’ambiguità come valore. Ignorando questa fondamentale premessa alcuni potrebbero sostenere, pur di non svalorizzarle, che le opere eclettiche e sincretiche possano essere eterogenee ed omogenee al tempo stesso (!), il che equivarrebbe ad ammettere la possibilità di "pseudo-idee" come il circolo- quadrato (Bergson) o il ferro-di legno (Schopenhauer) ovvero, passando a Totò: "Hai presente quel tipo alto? Bassino! Grasso! Magro-magro!?"...quando l’assurdo del pensiero debole diventa comico! Anche Freud lamentava questo paratattico modo di ragionare da parte di chi non voleva ammettere l’inconscio: "Se i filosofi trovano difficoltà a credere nell’esistenza di pensieri inconsci, l’esistenza di una coscienza inconscia mi sembra ancor più discutibile" (Freud: "La negazione" ed. Biblioteca Boringhieri, pag. 34-35). Riconoscendo invece le opere eclettiche come incompiute e imperfette, non si sottrarrebbe loro alcun valore! Nel caso poi di compresenza tra elementi omogenei ed eterogenei, ciò sarebbe di per sé sufficiente a rendere l’oggetto disomogeneo. Non necessariamente però eclettismo e sincretismo devono concretizzarsi in opere di valore artistico, essi possono anche spesso debordare in accostamenti velleitari e insignificanti che nulla hanno a che vedere con l’arte. Nel definire l’eclettismo e il sincretismo non soltanto si vuole qui rimandare al carattere eterogeneo di certi processi di sviluppo, ma si vuole in questo caso sopratutto sottolineare l’esistenza di opere di per sé stabilmente incompiute sincretiche ed eclettiche, e come queste ultime siano caratterizzate da qualità opposte alle opere organiche e compiute. Inversamente è necessario evidenziare come dagli stessi processi sincretici possano concretizzarsi fenomeni stabilmente compiuti, privi cioè delle tipiche anomalie ed irregolarità del sincretismo. In entrambi i casi si tratta di processi sincretici il cui sviluppo storico si è concretizzato in forme simboliche relativamente stabili. Così come i fenomeni organici e compiuti sono relativamente stabili, così vi sono fenomeni disorganici e incompiuti che non per questo sono meno stabili ed autonomi, fenomeni da considerare opere a tutti gli effetti ("La forma dell’incompiuto. Quaderno, abbozzo e frammento come opera del moderno" di Bruno Perdetti, Utet-Università, Torino 2007). Le parti costitutive di un organismo compiuto sono tra loro legate finalisticamente da reciproca necessità, sono tra loro dipendenti e subordinate. Invece le parti costitutive degli aggregati stabilmente incompiuti e sincretici sono autonome ed indipendenti e non legate da continuità logica, ogni singola parte potrebbero anche vivere di vita propria. Nel caso dell’ allestimento di un opera eclettica si verificasse talora di percepirla come organica e coerente, l’aggregato perderebbero il carattere discrasico necessario ad esprimere quell’ambiguità e quel contrasto tipici del sincretismo e dell’eclettismo, non potrebbe più essere considerata eclettica, perderebbe senso, risulterebbe di un sincretismo insufficiente, insignificante, oppure apparirebbe di una organicità fittizia, solo apparente, una organicità non riuscita, né carne né pesce, un fallimento sia dell’eclettismo che dell’unità organica ! Ammettere e legittimare gli aggregati-sincretici non significa tuttavia smentire per esclusione l’opera organicamente compiuta e sistematica, come oggi invece da tante parti sembrerebbe pretendersi. Riteniamo quindi necessario insistere sull’inesattezza del definire "sincretico" un evento stabilmente compiuto solo perchè filogeneticamente sincretico ! Se una cosa nasce da pratiche sincretiche non necessariamente deve stabilizzarsi nel "sincretismo" o nella "sincreticità" ! In altre parole si possono concepire processi genetici sincretici con esiti differenti: processi sincretici che si sono stabilizzati in aggregati con i caratteri del sincretismo e dell’eclettismo: e questo non è il caso del jazz ! Oppure processi storici sincretici che si sono progressivamente stabilizzati in sistemi-coerenti, in forme-compiute, in strutture estranee alla sincreticità, e quindi impropriamente etichettati come sincretici: e questo è il caso del jazz ! Ciò che favorisce l’equivoco è l’intriseca "imperfezione" e duttilità dell’opera-jazz. Il fatto che l’estetica del jazz sia un "estetica dell’imperfezione" non significa che il linguaggio jazz sia un aggregato sincretico. In questo caso si tratta infatti di un’imperfezione tutta interna alle dinamiche di un linguaggio di per sé coerente, essenzialista e paradigmatico. Un imperfezione estetica insita in un linguaggio tutt’ altro che imperfetto, ma un apparente imperfezione inerente le sue modalità d’esplicazione, l’uso aperto di un linguaggio conchiuso, come del resto accade nella nostra ordinaria conversazione verbale: nessuno si sognerebbe, per il solo fatto che quando parliamo lo facciamo in modo improvvisato ed imperfetto, di sostenere che la lingua italiana non sia un linguaggio organico e conchiuso ! Un equivoco può ancora derivare dall’errata associazione del sincretismo-genetico del jazz con la sua strategia di produzione ‘improvvisativa’ , ma non ‘improvvisata’ ! La tecnica dell’improvvisazione-jazz è tutt’ altro che sincretica, è bensì definita, rigorosa e colta come lo è la tecnica dei ritmi africani. Una tecnica rigorosamente fondata su ben precise regole d’esecuzione, un vero e proprio sistema-applicato. Una tecnica ben determinata, sistematica è allora l’esatta antitesi del sincretismo dei metodi. Il sincretismo della tecnica, per definizione stessa, consta nella compresenza di varie tecniche fra loro confuse o malamente assortite, assortite in modo ‘improvvisato’ come solo l’incontro spontaneista tra etnie sradicate e sottoculturali potrebbe determinare. La cultura musicale africana non credo proprio che sia una sottocultura etnica, né tanto meno spontaneista! Anche se metodologie casual o random in arte possono portare, ed hanno portato, a risultati creativi (musiche aleatorie), tuttavia esse non hanno niente a che vedere con la tecnica dell’improvvisazione-jazz. Tecnica nella quale la cultura musicale africana si è organicamente fusa con la musica occidentale. Tecnica nella quale anche la fase intermedia, a tradizione orale, a cavallo tra composizione e improvvisazione, costituisce un tassello connettivo, con precise regole (Mingus), che risulta estraneo ai metodi disconnessi e frammentati del sincretismo. Il fatto che si tratti di un sistema di produzione dinamico, che gioca sul movimento, sulla velocità d’esecuzione, sulla memoria e non sulla scrittura, non sottrae, ma incrementa quella precisione che solo può essere cagionata dalla rapidità dell’esecuzione. Un esecuzione che nulla vuole avere a che fare a che fare con procedimenti stocastici e aleatori. Una rigorosa tecnica così precisa che tiene conto e reintegra persino l’errore! E questo gli improvvisatori lo sanno bene! Non bisogna poi neanche confondere la genesi storica del linguaggio-jazz con la genesi poietica del livello neutro delle singole opere-jazz. Affermando: "L’importante è notare l’esistenza di processi a fianco degli aspetti stabili delle forme simboliche musicali", con "processi" Nattiez non intende i processi storici, bensì i processi poietici, così come per "aspetti stabili delle forme simboliche musicali" non intende il genere-musicale nel suo complesso, ma le sue singole opere. Inoltre: "L’analisi dei processi presuppone, in effetti, un rapporto dialettico tra l’analisi del livello neutro, relativamente statico, e analisi poietica, sicuramente dinamica" (Nattiez op.cit. p.70), un opera di jazz registrata su supporto audio, anche se è solo una delle tante varianti possibili, è ormai stabilmente definita e, benché "opera aperta" ed "imperfetta", non può essere considerata "sincretica" solo perché la sua genesi poietica è stata dinamica (...come abbiamo già detto non bisogna confondere l’Opera-Aperta di Eco con il sincretismo!). In questo senso si può affermare che il jazz non è un genere musicale sincretico, infatti, le originarie differenti e contraddittorie radici culturali sincretiche si sono tra loro selezionate, escluse e connesse a tal punto da non permettere più di catalogare il fenomeno jazz come genere stabilmente sincretico. Il jazz è un miracolo di unità sintetica! Non a caso si dice afro-americano! Un processo generativo sincretico che ha prodotto un linguaggio organico e conchiuso benchè aperto ad un infinità di "degustazioni" estesiche (Eco). Per di più un genere che rimane sempre compiuto ("conchiuso") nei suoi rapporti estrinseci con gli altri generi musicali. Talmente "conchiuso" che esso reagisce agli input-estrinseci con quel meccanismo di selezione da sempre riscontrato nella storia del jazz! Un meccanismo che permette al jazz, sistema semantico stabile consustanziale ad una estetica storicizzata, di improntare altre musiche ma non più d’essere improntato! A dimostrazione di ciò ogni successivo esperimento sincretico si è inesorabilmente arenato: dal flamenco alla musica cubana, dal classico europeo alla musica indiana, dalla musica country al rock, il jazz si è sempre dimostrato in grado di difendere con sdegno la propria identità, di respingere ogni contaminazione incompatibile. Questi esperimenti sono rimasti esperienze isolate, anche se a volte musicalmente splendide (Davis, Russell, Schuller, ecc.), ma non hanno fatto scuola all’interno del jazz, non sono riusciti a penetrare il jazz (anche se sono stati penetrati dal jazz!), non hanno attecchito perché accostamenti essenzialmente estranei all’identità di un genere rigorosamente definito e niente affatto sincretico! Ed è stata proprio questa fusione riuscita, questo un miracolo di unità sintetica, che ha reso il jazz un evento di risonanza storica! Non riuscire a cogliere questa qualità essenziale significa avvallare e perpetuare una lacuna, un errore, che si sta rivelando fatale per il jazz! Da qui nascono equivoci e strumentalizzazioni che vengono cavalcati come un "cavallo di Troia" per una narrazione revisionistica del jazz o peggio per avvallare gli attuali prodotti velleitari, le clonazioni mantenute in vita con l’accanimento terapeutico e che nulla hanno a che vedere col jazz e con l’arte. Prodotti che, ovviamente, non dovrebbero essere neanche presi in considerazione ed invece sono l’attuale merce venduta dall’industria musicale, (Riuscireste a immaginare "Requiem" di Tristano contaminato dal "Ballo del quà-quà"? Sarebbe un buon esempio di attuale eclettismo! Sradicando i presupposti e cambiando il contesto tutto si può fare e sicuramente a qualche jazzista nostrano piacerà l’idea!). In certi ambienti, per una certa cultura, quel miracolo di unità sintetica non è mai stato gradito, e sempre stato respinto con sospetto o recepito come la smentita dei presupposti razzisti e classisti e oggi, approfittando della inesperienza delle nuove generazioni, dell’ignoranza del grande pubblico e della colpevole complicità dei poteri dominanti la scena del jazz, si mette in atto l’attacco finale, il colpo mortale! - Tornando alle nostre nozioni, con eclettismo si è generalmente inteso il tenere insieme, il raggruppare qualità, materie, generi o stili tra loro così diversi da non trovare punti di convergenza e che, se riuniti, smarriscono il senso della identità producendo una intrinseca forzatura sul piano formale (v. anche G. Reale "Storia della filosofia" vol. V ed. Vita e Pensiero). Per sincretismo, similmente, si è inteso: la "conciliazione mal fatta" e confusa tra diversi elementi, o il fenomeno della compresenza, in un aggregato, di fattori tra loro parzialmente conciliabili o in permanente contrasto assoluto! Il pensiero debole, con le sue ripercussioni relativistiche, non si arresta neanche nel caso degli odierni dizionari, da più parti infatti si lamentano spiegazioni sommarie e superficiali. Paradossalmente i vecchi dizionari del primo novecento si rivelano, se non infallibili, almeno più approfonditi e specifici dei nostri. Ad esempio nell’edizione del 1939 del dizionario Palazzi della lingua italiana per sincretismo tra gli altri, si evidenzia almeno il concetto di mescolanza inconciliabile di opposti. Oppure nel dizionario filosofico di Abbagnano (seconda edizione 1971) non si tralascia di ricordare quanto a volte il concetto di sincretismo sia inteso come conciliazione malfatta o sintesi mal riuscita. Ancora una volta va ribadito che per quanto ci riguarda con "mal fatto" e "confuso" non si attua un giudizio-valutativo ma un giudizio-descrittivo. Si vuole solo descrivere il risultato di una genesi incompiuta stabilizzata in un aggregato che pur essendo"mal riuscito" e "incompiuto", anzi proprio per questo, può risultare tuttavia interessante e valido in un estetica dell’imperfezione consustanziale ad una costellazione di linguaggi eterogenei. La nostra è quindi un’interpretazione, che pur accogliendo il contenuto dei termini considerati, respinge la negatività di giudizio ad essi associata. E’ ovvio ed elementare che non si possa dare sincretismo in assenza della natura sincretica dell’oggetto, una "forma" stabile sincretica dovrà di per sé mantenere la eterogeneità e l’incompiutezza di un entità informale, disordinata e confusa nella quale accostamenti casuali e arbitrari rimpiazzano le interne connessioni tra le parti. Più che di una forma in senso stretto si tratta quindi di un aggregato. Nel "mostrar differenze" qui si vuole semplicemente distinguere ciò che è sistemico da ciò che non lo è. Ribadiamo quindi che qui non si intende affermare che solo ciò che è organico possa essere arte, o che tutto ciò che è sistematico e compiuto sia necessariamente artistico, così come non si intende affermare che incompiutezza e imperfezione siano sempre da respingere o che, inversamente, siano da accogliere sempre e comunque. Allo stesso modo nel caso in cui le contaminazioni riuscissero pienamente, non si avrebbe più eclettismo ma nuovi sistemi e nuovi generi. Deve essere chiaro tuttavia che la nascita di nuovi generi non abolisce i generi precedenti! Vogliamo forse buttare via l’arte dell’antica Grecia o l’arte Rinascimentale? Non bisogna applicare all’arte le logiche del consumismo! Nelle arti si parla di generi-eclettici e ciò, se interpretato in senso stretto, potrebbe risultare assurdo, un ossimoro poiché ciò che rende il Genere tale è la coerenza stessa quando invece l’eclettismo è sinonimo di incoerenza! Incoerenza volutamente perseguita nell’attuazione artificiosa di accostamenti eclettici! Non si può avere Genere senza coerenza, così come non si può avere Eclettismo senza incoerenza. Il peggior servizio che si potrebbe fare all’eclettismo sarebbe quindi quello di attribuirgli coerenza, perché così facendo significherebbe disintegrarlo in quanto tale. Non a caso oggi, quando si vuole valorizzare qualcuno si ricorre a luoghi comuni del tipo: "Il tal artista è difficilmente etichettabile!", "E’poliedrico!" "Le classificazioni gli vanno strette", l’incoerenza stilistica viene data in questo caso come valore aggiunto! Al termine del processo evolutivo una cosa può però trasformarsi nel suo contrario (Mao), essa può ad esempio cessare il suo status organico, disgregarsi, e mutando natura rientrare come componente, o in un aggregato disorganico, o in un nuovo genere: ed è proprio quello che sta oggi accadendo al jazz il quale, disgregandosi e atomizzandosi si sta trasformando nel contrario di quello che era, altre musiche si stanno riappropriando dei suoi frammenti in fenomeni prevalentemente sincretici, come tale esso non può più essere considerato jazz! Tuttavia secondo il filosofo Vittorio Mathieu: "Dal Jazz tuttavia non può dirsi che sia nato un nuovo ciclo musicale" (Vittorio Mathieu, ordinario di Filosofia Morale, Università di Torino, Accademico dei Lincei; articolo "Musica senza parole", Atti del Convegno:"Giovani di oggi, musica di sempre" Gioventù Musicale D’Italia" Milano 25-10-2002, p. 26 ) . Ma questo naturale epilogo storico non sancisce la fine delle forme del passato poiché, se è il presente a trasformarsi, il passato, ormai storicizzato, va valorizzato per quello che rappresenta! Nelle novità in effetti, tutte le combinazioni possono trovare attuazione, il problema è saperle riconoscere e definire con i termini appropriati, così come è necessario distinguere i fenomeni di maggior valore artistico dai fenomeni minori e da quelli assolutamente privi di qualità artistiche e velleitari. La contaminazione tra Rock e Jazz si è potuta realizzare in quanto si sono trovati punti di convergenza sufficienti per far nascere un nuovo genere, la Fusion: genere-altro, ma non completamente estraneo rispetto al jazz e al rock. La Fusion, a differenza di tanti odierni esperimenti, non è quindi una musica eclettica, altrimenti non potrebbe essere un sistema, un genere a sé stante. Questa autonomia dovrebbe essere rivendicata con orgoglio dai fautori di questo genere, ci si imbatte invece troppo spesso nella pretesa di includerla nel jazz e ciò può rivelarsi pericoloso per entrambi i generi in quanto mina la loro stessa identità e coerenza.

LA DIALETTICA. Passando ora alla dialettica per Herbert Marcuse la critica dialettica implica di per sé la negazione metodologica, la messa in discussione, una sorta di dubbio metodico. Nell’enunciato "Questo cane è bianco" l’opposizione tra individuale (questo cane) e universale (la bianchezza), che si sintetizza in cane-bianco, nasce a posteriori, deriva dall’esperienza. Ma vi sono casi in cui il giudizio è a priori, trascende l’esperienza, e nel metodo dialettico "L’opposizione a priori tra giudizio di valore e fatto" viene respinta in favore dell’ "opposizione a posteriori tra giudizio di valore e fatto" (Marcuse, "Ragione e rivoluzione") a patto che il giudizio non si appiattisca sul dato apparente senza andare alle cause prime. Perché riprendere queste tematiche moderniste? Quella "nuova-sensibilità" ? Marcuse scrive che c’è "una facoltà mentale che rischia di scomparire" : il potere del pensiero negativo. Riassumendo questo suo passo egli sostiene che il pensiero filosofico è la negazione di ciò che ci sta immediatamente dinnanzi; che i concetti trascurano le essenziali contraddizioni che formano la realtà, sono un astrazione; il pensiero filosofico rifiuta di accettare tali concetti perché i fatti non corrispondono ai concetti. Il pensiero negativo nega non solo tali concetti ma anche la realtà di fatto. Nello status-quo della realtà di fatto il progresso diviene quantitativo e tende a rimandare all’infinito il passaggio della quantità alla qualità. (Marcuse: Ragione e rivoluzione, p. 6-7). Oggi rivisitare la dialettica è più necessario di ieri perché il problema di un atteggiamento arroccato su posizioni di principio o appiattito sul fatto isolato, è una questione che, paradossalmente, non solo non è ancora stata superata, ma è costantemente rilanciata! Le nuove generazioni sono surrettiziamente indirizzate verso questa sensibilità. Con un sottile venatura poetica si potrebbe così descrivere il post-modernismo: "Il velato oscurantismo del pensiero debole, in una segreta crociata contro la modernità, mimetico e suadente, aleggia planando con meravigliosa leggerezza nel secondo millennio, per placare gli animi con garbati sofismi. Chimere pervase di seduzioni libertarie ammiccanti e allusive alla ‘ricchezza della persona difficilmente fissabile in una identità’ si insinuano con tolleranza tra le coscienze (...’come ti piacerà scegliere!’) spianando la strada all’estetica dell’insignificanza" e mentre si plasmano nuove generazioni di "Vispe Terese" della politica e dell’arte nel resto del mondo si muore per carestia ed epidemie, l’eco-sistema è in tilt e le Nazioni Civili altro non sanno esportare se non la guerra! Vi è oggi il luogo comune relativista, e meramente quantitativo, che uno artista possa applicarsi alla propria arte indifferentemente con diversi stili. In quanti più stili l’artista sarebbe in grado di prodursi maggiormente aumenterebbe la sua artisticità! A dimostrazione di questa ingenuità viene portato come esempio Leonardo Da Vinci, ma chiunque abbia la benché minima infarinatura di arte sa benissimo che non potrebbe esserci una maggiore unicità e coerenza estetica nella pittura di Leonardo, e che Leonardo non avrebbe potuto dipingere diversamente da come dipingeva senza disintegrare la sua unicità di pittore. Tutti i dipinti di Leonardo sono plasmati da un quel tratto comune e inconfondibile che ha fatto di lui un artista, appunto, unico! A cosa potrebbero mai rivolgere lo sguardo i critici d’arte nel cercar di riconoscere l’autenticità e la paternità delle opere se non all’identità unica e irripetibile dell’artista? Solo l’artigiano, o il professionista, proprio per il fatto di non avere alcuna particolare rivelazione da trasmettere, può permettersi di utilizzare indifferentemente tanti stili contemporaneamente, perché nel suo caso, non avendo nulla da dire, il nulla ben si concilia con il tutto. Far capire oggi questo basilare principio, universalmente riconosciuto in tutte le arti, è un impresa titanica! Parlando con i giovani, anche studenti universitari progressisti, ci si scontra spesso con l’effetto psicologico del significato corrente delle parole. Parole viziate dal senso comune e da pregiudizi emotivi che si ripercuotono sulla effettiva comprensione, ciò li sospinge con convinzione a sostenere l’insostenibile con quella inconsapevole e candida supponenza che solo il conformismo può dettare, per poi accettare con stupore l’ovvia realtà come fosse rivelazione! Gli effetti del pensiero debole?

- "Lo sforzo dei contemporanei di ridurre la portata e la verità della filosofia è enorme [...] Il modo sprezzante con cui Austin tratta le alternative all’uso comune delle parole, l’affermazione di Wittgenstein che "la filosofia lascia tutto come si trova" - tali dichiarazioni tradiscono, secondo me, il sado-masochismo accademico, l’autoumiliazione, e l’autodenigrazione dell’intellettuale la cui fatica non dà risultati di tipo scientifico o tecnico apprezzabili ." (Marcuse. "L’uomo a una dimensione" p.186 Einaudi-Nuovo politecnico 67 - cap. "Il trionfo del pensiero positivo".).

- E così Lenin:"Nel campo della filosofia il revisionismo si è messo a rimorchio della scienza borghese professorale. I professori ‘ritornano a Kant’ e il revisionismo si trascina dietro i neo-kantiani."(Lenin "Marxismo e Revisionismo") .

- E così la pensava Feuerbach: "Il tratto caratteristico del professore di filosofia è quello di non essere un filosofo, il tratto caratteristico del filosofo è di non essere un professore di filosofia" (Lenin: Quaderni p. 636).

- Dal filosofo-dialettico Lenin al filosofo-analitico Bertrand Russell su Kant: "...vi è un obiezione fondamentale che sembra rendere impossibile di trattare il problema della conoscenza a priori con il suo metodo. Ciò che richiede spiegazione è la nostra certezza che i fatti debbano sempre conformarsi alla logica e all’aritmetica."(B. Russel "I problemi della filosofia" p.102 – Feltrinelli.).

- E ancora si ricollega così il filosofo dialettico Mao Tse-Tung: "...la conoscenza logica si distingue dalla conoscenza percettiva in quanto la conoscenza percettiva coglie gli aspetti singoli, fenomenici delle cose, i loro nessi esterni, mentre la conoscenza logica fa un grande passo in avanti, abbraccia l’insieme, l’essenza, il nesso interno delle cose..." (Mao Tse-Tung: "Sulla pratica" pag. 316 – Opere Scelte vol.1).

Trascendendo sia i giudizi a priori che i meri-fatti la dialettica prescrive quindi di risalire a tutte le variabili con disincanto e senza pregiudizi, sapendo misurare la portata dei pesi e dei contrappesi e tenendo conto dell’insieme nel suo movimento. Il tutto in un intreccio filogenetico di cause-effetti (onnilaterale) che costituisce l’oggetto dell’indagine storico-scientifica. Intreccio nel quale non bisogna confondere i fatti con i fattori, gli effetti con le cause, l’apparenza con la realtà-concreta, e quest’ultima, a differenza del "noumeno" kantiano, si ritiene conoscibile.

- "Certamente qualsiasi fatto può essere sottomesso a un’analisi dialettica; per esempio un bicchier d’acqua, come nella famosa esemplificazione di Lenin. [...] Lenin afferma che ‘deve entrare nella "definizione" dell’oggetto tutta l’attività umana nel suo insieme"; l’oggettività indipendente del bicchier d’acqua viene così a dissolversi."(Marcuse:"Ragione e rivoluzione"; parte seconda - I; pag. 349, Il Mulino, ed. 1968).

L’esempio di Lenin è solo apparentemente paradossale, l’Antropologia Culturale studia strumenti e recipienti come il bicchier d’acqua per risalire "in migliaia di trapassi" a "tutta l’attività umana nel suo insieme" (Lenin):

"I recipienti e le tecniche per fabbricare gli strumenti sono altrettanto universali quanto gli strumenti da taglio e, a quanto sembra, altrettanto necessari per le attività umane, anche nelle società che hanno le culture più semplici...Benchè molte popolazioni pre-letterate non facciano mai bollire i loro cibi, altre invece lo fanno anche quando mancano i recipienti adatti ad essere posti sul fuoco o su una superficie calda." (Beals-Hoijer" Introduzione all’antropologia culturale" p.118-119, ed. il Mulino.).

Ecco come da un bicchier d’ acqua si può risalire alle culture umane!

- La dialettica, nella Cina antica, ha avuto origine con la filosofia stessa. E’ propria di questa tradizione, oltre che di quella occidentale classica (Eraclito), l’idea di contraddizione come sdoppiamento dell’uno:

"In fin dei conti le due realtà opposte si escluderanno sempre l’un l’altra." (Pan Ku); "Le cose sono in opposizione fra loro ma si condizionano a vicenda" (Pan Ku); "...che le vostre parole siano sempre opposte" (Houei-Neng).

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5 E così diceva Eraclito di Efeso a proposito del divenire dialettico: "...le cose fredde si riscaldano, le cose calde si raffreddano, le cose umide si disseccano, le cose vecchie si inumidiscono." (Giovanni Reale: "Storia della filosofia antica" vol. I, p. 75, ed. Vita e Pensiero).

"A chi discende nello stesso fiume sopraggiungono acque sempre nuove"; "Noi scendiamo e non scendiamo nello stesso fiume, noi siamo e non siamo.";"Non si può discendere due volte nel medesimo fiume e non si può toccare due volte una sostanza mortale nel medesimo stato, ma a causa dell’impetuosità e della velocità del mutamento si disperde e si raccoglie, viene e và." (Reale op. cit.p.73).

Ecco alcune citazioni di Mao Tse-Tung tratte dal saggio filosofico "Sulla contraddizione" : - "Senza alto non c’è basso; senza basso non c’è alto. Senza infelicità non esiste felicità; senza felicità non esiste infelicità. Senza il facile non esiste il difficile; senza il difficile non esiste il facile..." - "Nel processo di sviluppo di una cosa complessa esistono numerose contraddizioni, tra cui vi è necessariamente la contraddizione principale; la sua esistenza e il suo sviluppo determinano o influenzano l’esistenza e lo sviluppo delle altre contraddizioni." (p.349)

-"Gli aspetti contraddittori, in ogni processo, si escludono a vicenda, sono in lotta tra loro, si oppongono l’uno all’altro."

- "A tutti gli aspetti contraddittori è inerente in determinate condizioni la [...reciproca*...] non-identità e perciò essi si chiamano ‘opposti ’."

- "...in determinate condizioni essi da una parte sono opposti tra di loro [...non-identità*...] , e dall’altra sono reciprocamente connessi, si compenetrano, si permeano reciprocamente, sono interdipendenti: questo è ciò che si chiama identità." - "Alcune contraddizioni sono caratterizzate da un aperto antagonismo, altre no. In conformità con lo sviluppo concreto delle cose, alcune contraddizioni, inizialmente non antagonistiche, si sviluppano in contraddizioni antagonistiche, mentre altre, inizialmente antagonistiche, si sviluppano in contraddizioni non antagonistiche" (op. cit. p. 363, [...note* e grassetto nostro...] ). - "Ogni cosa, per ciò che riguarda il suo movimento, ha due stati: uno stato di riposo relativo, e uno stato di cambiamento evidente. Ambedue sono dovuti alla lotta reciproca dei due elementi contraddittori, contenuti nella cosa stessa…" - "...Quando una cosa nel suo movimento si trova nel primo stato, subisce soltanto modificazioni quantitative e non qualitative..."

- "...questa situazione non è statica: gli aspetti di una contraddizione...si trasformano l’uno nell’altro e il carattere della cosa cambia", prosegue Mao: - "...Quando invece una cosa nel suo movimento si trova nel secondo stato, poiché le modificazioni quantitative hanno raggiunto il punto massimo..." - "...si verifica la dissoluzione della cosa come entità, avviene un cambiamento qualitativo"; - "noi parliamo spesso di sostituzione del vecchio con il nuovo...una legge generale e assoluta dell’universo"; Il filosofo della scienza Ludovico Geymonat così scriveva a proposito del saggio di Mao Tse-Tung "Sulla contraddizione": "…è un saggio a mio giudizio importantissimo da un punto di vista teoretico..."; "Il pensiero di Mao, a parte i difetti che ha (e li ha), a parte le superficialità a cui si è prestato nelle interpretazioni...mi sembra che possegga un valore teoretico veramente notevole, ed è proprio per questo che io voglio qui in un certo senso difendere il Mao che è stato male interpretato e in un certo senso travisato. Purtroppo, invece di cercare di coglierne il valore, si sono sottolineati i difetti che questo ha. Per altro, in qualsiasi pensatore dell’antichità, del pensiero moderno, ecc. si trovano dei difetti gravi, e per ricavarne un succo positivo bisogna farne un analisi qualche volta anche andando al di là dei testi stessi" ("Mao Zedong, dalla politica alla storia"; autori vari; Editori Riuniti-Politica p. 212, 213).

Thomas Khun, il cui pensiero costituisce ancora oggi un importante punto di orientamento del dibattito epistemologico contemporaneo, scriveva nel 1961: "La scienza non si sviluppa secondo sistematici incrementi e secondo organiche accumulazioni, bensì secondo differenti linee di sviluppo, che si incentrano intorno a perni costituiti da vere e proprie rivoluzioni scientifiche" ("La struttura delle rivoluzioni scientifiche" Einaudi;); ed ecco una citazione di Mao del 1937: "La metafisica o evoluzionismo volgare, considera tutte le cose del mondo come isolate e statiche. [...] Anche se riconosce le modificazioni, le considera soltanto come aumento o diminuzione quantitativi o semplice spostamento [...] La natura contraddittoria insita nelle cose è la causa fondamentale del loro sviluppo..." . Thomas Khun suddivide lo sviluppo delle scienze in due periodi, il periodo della scienza-normale e il periodo delle rivoluzioni scientifiche. Il periodo della scienza normale è anche definito periodo paradigmatico, una fase cioè non-rivoluzionaria in cui i progressi non registrano e non ricercano novità bensì la genesi e il mantenimento di una particolare tradizione di ricerca (p. 30); questo periodo è preceduto da un altro periodo definito pre-paradigmatico (p. 70), caratterizzato da frequenti e profondi dibattiti, discussioni ed attacchi: "Questi dibattiti [...] Sebbene siano quasi inesistenti durante un periodo di scienza "normale", essi hanno regolarmente luogo poco prima e durante le rivoluzioni scientifiche, ossia in quei periodi in cui, dapprima, i paradigmi sono sottoposti ad attacchi e in seguito soggetti a modificazioni." (op.cit. p.70-71 [grassetto nostro]). Affermando ciò Thomas Khun rompe con la tradizionale impostazione cumulativa del neo-positivismo di orientamento Popperiano (Abbagnano-"Storia della filosofia" Tomo IV p.789), ovvero "l’evoluzionismo volgare", e finisce col riscoprire una dialettica sotto mentite spoglie! La "Scienza normale", col suo paradigma, rimanda così ai sistemi-coerenti di Mandel e/o al concetto hegeliano di quantità (...nel nostro caso il genere- jazz). Nel materialismo dialettico, nella prima fase dello sviluppo di una cosa (Mao), la continuità nella quantità non ha nulla a che vedere con l’evoluzionismo cumulativo e senza conflitti del neo-positivismo, ma è anch’essa un processo dialettico, processo che procede, in "stato di riposo relativo", da differenze non-antagonistiche verso differenze antagonistiche: "...in ogni differenza è insita una contraddizione, ...la differenza stessa è contraddizione." Riguardo la "Scienza normale" Khun non fornisce un chiaro approfondimento a proposito di dinamiche contraddittorie ad essa intrinseche anche se parla di "dibattiti...quasi inesistenti", mentre Mao, a proposito del "primo stato di sviluppo di una cosa", parla di "stato di riposo relativo". Per Khun i paradigmi della scienza normale sono: "essenziali al mantenimento di una tradizione scientifica"senza la quale si avrebbe "una scienza immatura", "priva di criteri di selezione", "la preistoria della scienza" perché così "può accadere che tutti i fatti sembrino ugualmente rilevanti" ("La struttura delle rivoluzioni scientifiche" Einaudi p. 31-35). Senza quindi i paradigmi, cioè i generi, tutti i fatti possono sembrare egualmente rilevanti! Anche le entità frammentarie, orfane e monche dell’ eclettismo velleitario che non vuole riconoscere i generi-artistici, unitari e coerenti. Se non si tratta di ciò vi assomiglia molto! A questa fase "normale" [non-antagonistica?] subentrano poi le "anomalie" e le "crisi" [l’antagonismo e il punto nodale di Hegel?]. Sono solo coincidenze o conclamate analogie? Nella dialettica il passato si conserva sempre nell’avvenire, non si tratta quindi di un suo "scomparire e dissolversi" (Mao) assoluti quanto, più precisamente, di un’uscita "dalla scena del nuovo" per continuare a sussistere nella tradizione. Nell’estetica del materialismo storico si parla di "esemplarità e sopravvivenza dei valori artistici" in quanto "l’arte non si estingue nel processo storico ma è destinata a restare nella storia come valore proprio di quel periodo" "inscindibile dai suoi caratteri storici" "verità che l’uomo rivive esteticamente". Caratteri storici, quindi l’identità, rivissuti esteticamente. (Rocco Musolino" Marxismo ed estetica in Italia" capitolo "Appunti su una questione marxiana"p. 94 Editori Riuniti). Nella fase antagonistica col raggiungimento del punto nodale avviene quindi il "superamento", superamento che però conserva in sé le tracce di quella negazione "intrisa di conservazione" (Apostel, p.16) senza la quale il presente non sarebbe possibile e, con esso, la storia stessa. Anche nella scienza per Thomas Khun: "Le teorie fuori moda non sono in linea di principio prive di valore scientifico per il fatto di essere state abbandonate" (op.cit p. 21). Rimane così implicita "la richiesta di una soluzione integralmente storicistica", diversamente ci si esaurirebbe in "semplificazioni riduzionistiche" e in quel "meccanicismo deterministico" di cui il materialismo storico è accusato impropriamente. Marx insiste sul fatto che l’arte non è mero effetto (effectus) ma vi è una dialettica (opus) tra l’artista e la cultura del suo determinato periodo, ad esempio tra l’arte greca e la mitologia ellenistica (Rocco Musolino, op cit.). Così è avvenuto nel jazz tra il "presente storico" dell’etnia nero-americana e la sempre presente mitologia delle proprie radici culturali africane. Anche nel caso di uno degli eroi eletti dal pensiero post-modernista, Karl Popper, la dialettica scacciata dalla porta rientra dalla finestra.... "Karl Popper, uno dei grandi nemici della dialettica, è stato probabilmente uno dei suoi migliori interpreti in un articolo pubblicato nel 1940, What is dialectic?, ("Mind" numero speciale) nel quale ha introdotto il concetto di dialettica in rapporto a un processo di prova errore." (Leo Apostel: "Materialismo dialettico e metodo scientifico" Cibernetica, logica, marxismo; Einaudi - Nuovo Politecnico pag. 51), commentando poi che si sarebbe trattato solo di una dialettica "generica","vaga ed empirica". Secondo Marcuse, che nel 1976 ha pubblicato insieme a Popper il libro "Rivoluzione o riforme?", "Ogni modo di pensiero che esclude la contraddizione dalla sua logica è una logica difettosa" (Herbert Marcuse: "Ragione e rivoluzione" pag. 8, il Mulino- 1968). A mio avviso contro la post-filosofia dovrebbero valere le stesse accuse che Popper rivolge contro Hegel: "Credo che abbiamo più che sufficienti ragioni per sospettare che la sua filosofia fu influenzata dagli interessi del governo prussiano del quale era impiegato" basta sostituire a "governo prussiano" "revisionismo globale".

- L’Arte è costituita da varie materie (Architettura, Pittura , Letteratura, Musica, Cinema, ecc.), così come la Scienza è costituita da varie materie (Fisica, Chimica, Biologia, ecc.), come l’Arte sta alla Scienza così la Musica, in quanto materia, sta alle materie della scienza, il Jazz poi, come genere, ha rappresentato una "straordinaria rivoluzione paradigmatica" nella musica del 900’, ma i paradigmi di Thomas Khun, nonostante la suggestione evocata dalla parola, non vanno intesi come rigidi schemi o formule da applicare meccanicamente, bensì come: "…quelle concezioni e quelle convinzioni che costituiscono punti fermi della scienza in un dato momento…"(Giovanni Reale), essi costituiscono dei "modelli che danno origine a particolari tradizioni di ricerca scientifica con una loro coerenza."(Khun).

Indubbiamente il jazz rappresenta un modello espressivo, una concezione musicale, una strategia di produzione "...la musica può essere intesa come risultato di determinati atteggiamenti, di certe particolari concezioni del mondo..." [Baraka, op. cit.], "consuetudini e credenze" che originano una particolare "tradizione" con una sua "coerenza" ed una sua dialettica interna. Coerenza paradigmatica che, quando rivoluzionata, dovrebbe segnare il passaggio da un genere musicale ad un altro. Ciò si ricollega ad altri due concetti del pensiero dialettico indispensabili alla nostra piccola ricerca filosofica: i concetti di Qualità e Quantità. La qualità, difficilmente riducibile a un concetto unitario, qui può essere intesa non tanto come "accidente", ma come "peculiarità" (diz. Lingua Italiana Palazzi 1939) non tanto come "determinazione qualsiasi" ma come "qualità che individualizza l’oggetto stesso ed è perciò propria di esso" (Abbagnano Diz.Fil. Utet); Per Hegel: "La determinazione dell’essere ‘che semplicemente è’ " quindi la qualità essenziale, non una qualsiasi determinazione; "Essa [...la qualità*...] trapassa nella quantità" (Hegel: "Enciclopedia delle Scienze filosofiche" ed Laterza: Glossario, p. 617. B. Croce [nota*nostra]); per gli Stoici: "forma che determina la materia" (G. Reale: St. Fil.V; ed. Vita e Pensiero), ciò che dà forma alla materia amorfa. Quindi proprietà essenziale di un oggetto. Per il concetto di quantità invece "L’espressione grandezza non è l’espressione adatta per la quantità poiché essa designa principalmente la quantità determinata" (B. Croce: Hegel "Enciclopedia delle Scienze filosofiche" ed Laterza: Glossario, p. 115). La quantità non va confusa con la misura di grandezza, ma va intesa come concetto della "Continuità del molto" (Benedetto Croce; Hegel, op. cit): si ha quantità in presenza di una moltitudine di oggetti legati tra loro da un filo di continuità. "La quantità resta unita in quanto è in essa la determinatezza in genere, e questa è da porre come contenuta in essa" (Hegel , op. cit. p.116 [26]): gli elementi costitutivi la quantità rimangono tra loro legati (uniti) in virtù di quella sostanza comune che è la "determinatezza in genere" (qualità), la quale è a sua volta racchiusa nella quantità (la qualità e racchiusa nella quantità). Le differenze quantitative non sono quindi sufficienti per sancire la diversità di genere. Una cosa, nonostante una variazione quantitativa di intensità od estensione, non cessa di essere di tal genere. Una casa, più o meno estesa, o un rosso, più o meno intenso: "non cessa di esser casa, rosso, ecc" (Benedetto Croce; Hegel, op. cit). Le determinazioni del genere possono diversificarsi tra loro solo quantitativamente perché nello stesso istante in cui si diversificassero qualitativamente muterebbe il genere. Ma riprenderemo questo discorso più avanti. La conversione della quantità in qualità è considerata una fase fondamentale della dialettica hegeliana. Il materialismo dialettico non rifiuta la logica classica e la logica formale, ma le specifica e le integra, come nel caso del principio di identità e del principio di non-contraddizione o di contraddizione. Nella logica classica la contraddizione non-antagonistica viene denominata "contrasto", la contraddizione antagonistica semplicemente "contraddizione", e al "principio di contraddizione" (o di "non- contraddizione") , viene spesso attribuito lo stesso significato, ed essi vengono a loro volta ricondotti al principio di identità:

"ogni ente è se stesso e non altro" (Sofia Vanni Rovighi"Elementi di filosofia" vol. 2 ; pag. 28) "...il principio di non-contraddizione é ricondotto a quello di identità-determinazione" (Sofia Vanni Rovighi: "Istituzioni di filosofia" pag. 66 -65 ed. La Scuola- "Elementi di filosofia" vol. 2; pag. 34 -35);

- Principio di non-contraddizione (o di "contraddizione"): "Niente simultaneamente può essere e non essere" (Aristotele, Metafisica) [non (A e non A)];

Principio del terzo escluso: [A o non A], (A può essere A o non A, non è possibile un terzo elemento, altrimenti sarebbe A = B !).

Secondo la logica hegeliana, da un punto di vista rigorosamente astratto, ogni affermazione porta con sé simultaneamente e necessariamente la propria negazione: "... A è uguale ad A solo in quanto opposto a non-A , cioè l’identità di A risulta dalla contraddizione e ha in sé la contraddizione. A non contraddice secondo Hegel un non-A che gli rimane estraneo, ma un non-A che appartiene alla stessa identità di A . In altri termini A è contraddittorio di se stesso." (Marcuse, "Ragione e rivoluzione" p. 147 op. cit.;). La negazione prodotta dall’affermazione del termine, è una attività riflessa ed intrinseca che deriva dalla natura stessa dell’essere, dal suo status ontologico: l’opposizione dell’essere col non-essere [A o non-A > "terzo escluso"]. E’ dall’abisso del nulla che emerge l’essere? La semplice affermazione di uno dei due termini implica immediatamente l’affermazione della sua negazione: se è necessario affermare l’essere è perché è necessario negare il non-essere (e viceversa: la vita e la morte;) (..e sul concetto di "Nulla" si aprirebbe un discorso così vasto da oltrepassare i confini di questo capitolo!). Leo Apostel scrive che:

"Sia Engels che Lenin insistono sul fatto che i principi della logica classica devono restare validi. In particolare il principio di non contraddizione"... Primo problema: ..."Come possiamo interpretare la legge dell’esistenza, della lotta e dell’unità dei contrari senza rompere col principio di non contraddizione?" (Leo Apostel:"Materialismo dialettico e metodo scientifico" p. 15 Einaudi1968, Nuovo Politecnico): se A è identico con A come può essere, nello stesso tempo, diverso da A! Secondo problema: "... secondo le definizioni di Lenin, tutte le contraddizioni sono necessariamente sia antagonistiche che non-antagonistiche nello stesso tempo" (Apostel op.cit. p.15). E così scrive Popper: "[Hegel] sostenne che si doveva alterare la logica per fare della dialettica una parte importante, se non la più importante della teoria logica. Questo lo costrinse ad abbandonare il principio di contraddizione, che costituisce chiaramente un grave ostacolo alla accettazione della dialettica" (Popper: "Contro Hegel" p.15 ed. Armando).

Pensiamo che a questi due quesiti possano dare una risposta Mandel e Marcuse:

- Ernest Mandel: la logica formale "...è inapplicabile ai fenomeni di movimento, ai processi di cambiamento. Appena si è in presenza di tali fenomeni, il ricorso alle categorie della dialettica – della logica del movimento - categorie differenti rispetto a quelle della logica formale - s’impone" (E. Mandel op. cit. pag. 107 -108.);

- Herbert Marcuse: "La contraddizione o...l’opposizione, non nega l’identità della cosa ma produce questa identità nella forma di un processo in cui si sviluppano le potenzialità della cosa stessa" (H.Marcuse: "Ragione e rivoluzione" p.147 Il Mulino). Infatti questi problemi insorgono se si continua a considerarli esclusivamente nell’astrazione della logica formale. Il divenire non può quindi darsi se non come divenire di un mondo materiale e del suo riflesso sentimentale e simbolico (lo spirito e il concetto). Il divenire non può svolgersi se è assente il soggetto stesso del divenire, come si potrebbe infatti stabilire una semplice differenza o una alterità, senza mantenere costante l’identità a cui indirizzarle? Senza l’identità-originaria verrebbe a mancare il termine di paragone col quale stabilire la diversità. Così come non potrebbe esservi il divenire senza la progressiva differenziazione del soggetto del divenire, che sarà identico a sé nella connotazione globale del processo, e differente da sé nelle connotazioni puntuali del processo. Presupposto del cambiamento è quindi la presenza costante dell’identità di ciò che cambia "ciò che perdura in ogni cangiamento" (B. Croce) senza di essa non vi può essere cambiamento: Cosa si trasforma? Cosa cambia? Una identità che si sviluppa nella fenomenologia della sua estensione nello spazio (il jazz in nord-america), e nel suo movimento nel tempo (il jazz nel XX secolo), quindi nella materia e nella storia! Una determinata qualità che nel suo sviluppo si modifica quantitativamente sino a giungere alla fase terminale del processo ("punto nodale") oltre la "misura della quantità" (Hegel), trasformandosi così anche qualitativamente e divenendo "altro da sè" (...se per "alterità" qui si intende "negazione" e non "il nulla", il "non-essere" parmenideo.). Nella metamorfosi dell’ identità del soggetto, decade il soggetto stesso e ne nasce uno nuovo. Anche il secondo problema sollevato da Apostel ["... secondo le definizioni di Lenin, tutte le contraddizioni sono necessariamente sia antagonistiche che non-antagonistiche nello stesso tempo"] dipende, come sopra, dal senso che si dà al concetto di "nello stesso tempo", che và inteso "nello stesso lasso di tempo" o meglio "potenzialmente nello stesso processo di tempo": tempo che non và quindi inteso come attimo-cristallizzato (è forse possibile fermare il tempo?) ma come attimo-fuggente; il termine A del principio di contraddizione solo astrattamente può darsi come cristallizzato nel tempo, nella realtà, come dicevano Eraclito e Mao, tutto cambia! Con ciò quindi non solo non si respinge il principio di contraddizione, ma lo si accoglie approfondendolo. La contraddizione è quindi di per-sé ancora non-antagonistica e in-sé potenzialmente antagonistica: "... processo in cui si sviluppano le potenzialità della cosa stessa." (Marcuse, op.cit.); Questo destino di ogni processo, non è casuale o ad esso esterno, ma è una sua determinazione ontologica, una causa prima ed interna, che però troverà attuazione solo quando favorevoli cause esterne interagiranno con esso: "..le cause esterne operano attraverso le cause interne"..." l’uovo, quando riceve una adeguata quantità di calore, si trasforma in pulcino, ma il calore non può trasformare in pulcino una pietra" (Mao Tse-Tung); Il sancire che il destino di ogni contraddizione sia la inevitabile "soluzione" non significa stabilire o pretendere deterministicamente, anche "l’esito" e "la natura" di questa soluzione; le soluzioni potrebbero essere differenti, anche una rivoluzione sconfitta è una "soluzione" di questa contraddizione; Mao lo dice chiaramente quando scrive: "In conformità con lo sviluppo concreto delle cose, alcune contraddizioni, inizialmente non antagonistiche, si sviluppano in contraddizioni antagonistiche, mentre altre, inizialmente antagonistiche, si sviluppano in contraddizioni non antagonistiche". (Mao "Sulla contraddizione"p. 363, [grassetto nostro]). Quindi non tutte le contraddizioni antagonistiche debbono necessariamente sfociare in una rivoluzione. Così come vi possono essere rivoluzioni di natura differente. Ad esempio l’odierno grande rivolgimento sociale, che vede l’ingresso di milioni di migranti dal terzo mondo nel primo mondo, potrebbe essere interpretato come la conferma della marxiana "rivoluzione proletaria", proletariato che non ha nulla da perdere "se non le proprie catene" ! Una rivoluzione che scaturisce dalla contraddizione antagonistica tra lavoro-salariato e capitale poiché anche la non-occupazione è una variabile indiretta di questa stessa contraddizione! Non quindi una rivoluzione politica, ma sociologica! Anche se con grandi implicazioni politiche. Solo chi è attaccato spasmodicamente ai propri privilegi, alle proprie abitudini o credenze ideologiche, potrebbe desiderare una realtà statica ed immutabile, un "universo tolemaico"! Sul versante del positivismo, i criteri e la legittimità di ciò che sarebbe o non sarebbe scientifico sono circoscritti all’ "operazionismo" e al "comportamentismo" (Marcuse "L’uomo a una dimensione "pag. 32-33), ma una più recente tendenza, prendendo atto che solo una minima percentuale dei fenomeni naturali si può replicare in laboratorio e quindi dimostrare empiricamente, rompe con queste catene in favore di una visione più flessibile che, lasciando spazio ad altre variabili, si dischiude alla dialettica in tutta la sua attualità. In questo suo voler risalire al di là dell’apparenza sino alla causa prima, dalla sovrastruttura alla struttura, nel suo voler trascendere gli effetti per giungere alle cause, il materialismo è stato tacciato di essere una "metafisica". Anche la scienza medica in quanto dal sintomo ridiscende alla causa diventerebbe quindi una metafisica? E’ anch’essa "dietrologia"? "Ogni singolo fatto è più di un mero fatto; è la negazione e la limitazione di possibilità reali" (Marcuse "Ragione e rivoluzione" ed. Il Mulino, 1968, p-315). E’ significativo come proprio la dottrina che aveva decretato "la miseria della filosofia" (il materialismo dialettico) finisca di fatto con l’esserne in realtà la continuatrice in una nuova epistemologia. Così come ogni superamento è intriso di conservazione, così i vecchi valori illuministici e garantisti della rivoluzione francese è necessario continuino a vivere come tradizione e patrimonio dell’umanità. Così accade anche in musica, e il classico e il jazz e tutte le altre tradizioni, continueranno a coesistere con i futuri generi musicali d’avanguardia (sempre che non ne avvenga il genocidio per mano del monopolismo culturale!). Riepilogando le nostre premesse la categoria della quantità comprende tutti quei mutamenti che nel loro sviluppo mantengono costantemente la stessa qualità, qualità che costituisce la sostanza unificante degli opposti (continuità qualitativa). Nel passaggio da uno stile ad un altro stile dello stesso genere, può avvenire un mutamento qualitativo? No, altrimenti cesserebbe la loro comune appartenenza a quel determinato genere: "la determinatezza in genere" è "contenuta" nella "quantità" (Hegel), la qualità è contenuta nella quantità. Da qui ne risulta che il concetto di qualità non va inteso sommariamente, alla stregua degli attributi non-essenziali, ma molto peculiarmente nella accezione di sostanza od essenza: "ciò che perdura in ogni cangiamento" (B. Croce). La qualità può però presentarsi intrecciata ad attributi non-essenziali che potrebbero essere scambiati per essenziali e trarre in inganno la lettura. Che uno stesso genere mantenga sempre (in intrinseco fermento) una stessa qualità (auto-affermandosi nella contrapposizione antagonistica con gli altri generi), non significa che le sue variabili non-strategiche, i suoi attributi non-essenziali, non possano eclissarsi e riproporsi, sintetizzarsi o inter-scambiarsi in rapporti non-antagonistici con attributi di altri generi. Nello scontro antagonistico non può avvenire una sintesi perché uno dei due aspetti contradditori dovrà essere divorato (incompatibilità), ma nei rapporti non-antagonistici sia intriseci che estrinsechi avviene un continuo interscambio ed arricchimento di tipo sintetico (compatibilità), ciò corrisponde ad un primo stato nel quale "...la tesi viene arricchita dall’antitesi in una sintesi superiore" (Lenin). Dopo tutta una serie di ulteriori arricchimenti, il processo, avendo realizzato tutte le sue potenzialità, sperimentate tutte le permutazioni possibili, messe a frutto tutte le sue risorse e raggiunto il punto nodale attua così una repentina metamorfosi. Possibilità che una volta realizzate producono, un nuovo potenziale di forze essenzialmente diverso: un nuovo genere! Engels nel capitolo XII dell’ "Anti-Duhring" cita tutta una serie di efficacissime esemplificazioni di come "un cambiamento quantitativo cambia la qualità" e come "un cambiamento qualitativo cambia la quantità". Gli esempi sono tratti dalla fisica, la chimica, la matematica e l’economia, ma forse per l’arte vi potrebbe essere una peculiarità! Nella tradizionale letteratura del materialismo dialettico anche se con differenti accentazioni e sfumature, la quantità è vista come un processo evolutivo relativamente stabile ("riposo relativo"), come la realizzazione di varie combinazioni e sintesi quantitative. Quel che più importa è che tendenzialmente la assenza di salti viene considerata una proprietà esclusiva della continuità qualitativa (prima fase), mentre la presenza di salti viene attribuita esclusivamente alla discontinuità qualitativa (seconda fase). Ma questo aspetto è stato oggetto di ulteriori approfondimenti che si sono spinti al di là di questa rappresentazione tendenzialmente schematica. Ricerche filosofiche condotte alla fine degli anni 50’ e inserite nella letteratura del materialismo-dialettico, hanno posto la possibilità di salti che non interrompano la continuità evolutiva della qualità stessa (Leo Apostel "Materialismo dialettico e metodo scientifico: Cibernetica, Logica, Marxismo" p. 17, Einaudi-68, e in "Le socialisme" vol. 7, n. 4 Bruxelles 1960). Un esempio ci potrebbe venire dalla musica: l’ identità tonale di una data tonalità musicale non cambia anche se le note, invece di susseguirsi per gradi congiunti, si susseguono in ordine diversificato! Una cosa è quindi la discontinuità-quantitativa (sviluppo interno) altra cosa la discontinuità-qualitativa (metamorfosi). In pratica nella prima fase dello sviluppo di una cosa sarebbero possibili processi a velocità differente. Anche nel caso dell’arte quindi, nello sviluppo intrinseco ai singoli generi, nelle fase quantitativa si possono riscontrare dinamiche più disordinate ed irregolari, una disordinata sperimentazione per tentativi ed errori: "genio e sregolatezza", uno "sviluppo ineguale". Nel genere musicale la categoria della quantità si produce nella messa in atto di tutte quante le possibilità della qualità, di tutte le permutazioni e le combinazioni compatibili con il paradigma qualitativo costante. Paradigma caratterizzato dal comun-denominatore dei contenuti culturali, l’idioma, i vernacoli, le tecniche e le strategie, bagaglio di consuetudini che vengono a formare come abbiamo visto il linguaggio di genere. Questa fase sperimentale in arte si svolgerebbe quindi con modalità non necessariamente lineari, con differenti velocità, direzioni-random e imprevedibili salti. La presenza di salti non compromette, ma dinamizza, arricchisce e completa il paradigma di genere. Anche nel jazz ciò è avvenuto senza compromettere la continuità evolutiva dei suoi contenuti-sociali (continuità intesa come graduale presa di coscienza dei neri in quel periodo storico) così come la continuità del suo stile-improvvisativo (la "variabile-strategica autonomizzata" v.v. Nattiez, op.cit.) che non solo permane, ma si incrementa nell’arco di tutto il suo sviluppo sino alla assoluta libertà del Free-Jazz. I "salti non-discontinui" riscontrabili tra gli stili del jazz non interrompono quindi quella continuità dialettica in cui "le novità emergenti sono preparate e spiegate dagli sviluppi precedenti" (Leo Apostel op.cit.). Eccoci quindi all’esito finale del nostro discorso sull’evoluzione del jazz: la nostra tesi è quindi che il modello empirico del processo jazz, tumultuoso e relativamente breve, si spieghi con la fenomenologia sopra descritta e quindi come questo genere musicale si configuri come una "metafora epistemologica" (Umberto Eco). Questo spiegherebbe come il processo evolutivo del jazz abbia visto, nonostante i salti tra uno stile e l’altro, la conservazione della qualità essenziale! Questa è più di una semplice ipotesi, infatti che nel jazz ormai tutte quante le possibilità quantitativamente siano state, nel bene e nel male, esperite è comunemente accettata. Ciò consente di spingersi ad affermare che se qualcosa attualmente fosse necessario compiere, ciò sarebbe piuttosto una ricognizione retrospettiva per ripulire il jazz da tutto ciò che gli è stato attribuito in passato e che non gli apparteneva!

Giovanni Monteforte

 


Bibliografia

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